logo

critica

Critica

su Mirko Demattè

Vittorio Raschetti

Sotto vetro, reperti di mondi galleggiano dentro se stessi, tra istanti rubati al fluire, svaligiando desideri in transito nel rincorrersi. O la borsa, o la vita? Ma la borsa è vita sfuggente alle mete lungo traiettorie esplose all’interno di una corazza di cristallo. Valige scassinate dal desiderio. Prelievi di universi privati accatastati. Tempi compressi, ammaccati, sprigionanti pienezza straripante. Senza margini. Senza più possibile curiosità. Emozioni sigillate nell’acquario congelato. Armi ad aria compressa combattono contro un vuoto pneumatico. Incursioni impossibili in spazi incomprimibili. Accalcati e non innocenti nella prossimità del presente. Soffocati dalla fuga della distanza nella totalità momentanea. Il tempo è lo spazio sottratto all’espansione di universi in implosione. Ricordi condensati sempre più sotto pressione. Tutto il viaggio sovraimpresso nella ridondanza di una sola unica immagine concentrica e coincidente. Viaggi veloci e valige ammainate come vele. Partiti da ciò che è stato dimenticato e rimpatriati nel profondo della densità.

Marco Zammateo

Come la televisione: l'arte uccide la realtà? Installazione di Mirko Demattè
Secondo qualcuno la televisione sarebbe colpevole di uccidere la realtà: l'abitudine a vedere un mondo falso o falsato, nei telefilm, spot pubblicitari, spettacoli di varietà e in quant'altro, non può che portare a una distorsione radicale del senso vero della realtà. La televisione diventerebbe la causa del senso critico sempre pi debole, della fuga nel regno dell'evasione, del degrado dei costumi. E' proprio vero? La Tv-spazzatura per Demattè è una metafora. Gli inganni, latenti e manifesti, le passioni che rasentano il delirio, gli intrecci al limite della realtà, sono caricature del vero o fotografie dal vero? Per noi spettatori la sua installazione è un ottimo aggancio per cominciare a dubitare di affermaioni palesemente manimaliste. Il cuore del problema sta nel cosa intendere per realtà, e capire meglio l'intricato rapporto tra realtà e fantasia. Le situazioni romanzesche più inverosimili ancipano talvolta situazioni di realtà, così come i crudi fatti di cronaca talvolta superano la più sfrenata immaginazione. La capacità immaginativa è a fondamento della ricerca scientidica, l'arte è la più sublime consolazione della vita, la "finzione" non è di per sè un male, anzi può rappresentare un bene vero: purchè sia distinguibile e definita come rale, come finzione "Fingere", in senso ludico o artistico (il leopardiano "io nel pensier mi fingo"), ci aiuta a costruire, ricreare, affrontare la realtà. Come sa bene il bambino, che può essere aiutato a sviluppare le proprie capacità intellettive, emotive, relazionali attraverso il gioco, purchè sia educato a distinguere tra fantasia e realtà. Anche l'adulto talvolta cade nella trappola, confermata dall'ambivalenza semantica del termine "finzione" (simulazione o falsità). Ma, a ben pensarci, ogni storia (inventata, raccontata, rappresentata) ha un senso, per chi la crea e per chi ne usufruisce. Mentre invece è la realtà che di per sè non ha senso, se non quello che noi le diamo. La finzione non può uccidere la realtà. Ecco il problema, non solo individuale, maanche socio-culturale: non sempre la nostra società, basata consistentemente su doppiezza, apparenza, superficialità, vociare di massa,aiuta a riconoscere la finzione "buona" che si cela tra le sue pieghe.

Paolo Zammateo

Generazione/Evoluzione
La riflessione di M. D. è articolata sullo spazio fra generazione e evoluzione. L'artista si interroga sull'origine del reale, assumendo a caratteri generatori la luce e il nulla che divengono simbolicamente superfici bianche o nere, comunque immateriali. Su di essi il movimento è dato dallo spessore: sono contorni e volumi larvali, geometrie e forme, che talvolta osservano l'intorno e governano il colore. La sorpresa della genesi si fonde con la magia creativa. Con un procedimento transitivo e inverso M.D. si appropria dell'arcano, facendo leva sulla caratteristica fondamentale dell'umanità che è artefice della propria evoluzione culturale grazie ad astrazione, tecnica e tecnologia. Semplici linee disegnano nello spazio geometrie complesse, la materia è altamente tecnologica, superficie pura e forma dinamica apparentemente spontanea, come insegna la modernità. La trasparenza è protagonista: dentro ci sono ancora la luce e il nulla, cui l'armonia del segno rivolge un silenzioso omaggio.

 

Paolo Zammatteo

Morti bianche. Un silenzio assordante.
Il tema delle morti bianche descritto in un emblema figurativo. L'ambito si riallaccia a quello della fatalità nell'esistenza umana, rafforzato dalla tragicità dell'evento doloso, dietro cui troppe volte si cela un retroterra di dolore, di sconfitta rispetto alla volontà, che nel lavoro dovrebbe trovare sempre un fondamento per la struttura sociale. Sconfinando rispetto al realismo classico e alle ideologie del Novecento, ci sono tuttavia troppi segni indelebili nella dimensione mistica della Crocifissione, con gli esempi dei movimenti artistici europei, che vanno dall'Impressionismo di Kirchner (in cui però prevale l'imponenza dei colori violenti) alla matrice essenziale di Duby (libera nel gesto ma molto statica, forse enfatica), ripresi poi in termini intimistici da Francis Bacon (quest'ultimo volutamente catastrofico). “Morti bianche. Un silenzio assordante” di Mirko Demattè vuole ricordare alche le esperienze cronistiche di Wilhelm Pabst (“Kameradschaft”, 1931) e la fotografia di Bresson, in nome di quella fascia grigia, fatta di persone costrette a rischiare la vita pur di vivere, che non sono nella normalità. Lo sfondo è un fondale materico, all'interno del quale si staglia lo skyline indefinito di grattacieli anonimi, moderne torri di Babele proiettate simbolicamente verso l'alto, ma di cui, nella fretta del divenire, il valore e il significato si sono persi. Davanti, unico segno cromatico nel reticolo regolare dei ponteggi, la gru rompe la prospettiva centrale e sembra muovere il braccio come una bilancia, su cui sono ancora appese al filo le presenze, così imbarazzanti e perciò più drammatiche, delle singole croci, mute ma sonore. Quelle di quanti nel tentativo di affrontare una modernità globale intesa quasi solo come profilo economico, hanno trovato il loro posto solo fra i “caduti per lavoro”. È una rappresentazione immediata, forte e contrastata, che vuole ridare loro, in morte, la dignità che hanno cercato in vita.